Perchè al parco del Meisino non servono progetti innovativi

L’Organizzazione mondiale della sanità ha fissato la dose ideale di verde pubblico che dovrebbe comporre i tessuti urbani: 3 alberi per ciascun abitante, 30 per cento di superficie arborea in ciascun quartiere e non più di 300 metri di distanza dal parco più vicino. Un sogno. Nella affannosa rincorsa a cercare di raggiungere questi obbiettivi ogni amministrazione cittadina cerca di preservare dal cemento qualche zona periferica, tenta di convertire qualche area dismessa e si affatica a proporre metodiche di calcolo del verde che soddisfino i lettori di percentuali; i piccoli centri sono aiutati dallo spopolamento, le cittadine conteggianoi campi di mais e frumento che circondanoi quartieri di confine mentre le metropoli faticano a rientrare nei parametri. Tra queste, Torino è fortunata perché può approfittare della sua morfologia fatta di colline e lungo fiumi e perché può dire grazie a decenni di programmazione virtuosa. Il dibattito sul progetto di riqualificazione del Parco del Meisino, tra Borgata Sassi e le rive del Po, è emblematico. Qualcuno pensa a un riordino che ne esalti la potenzialità di intrattenimento e allora si parla di una cittadella dello sport, che accolga ciclovie, ciclocross, mountain bike, skiroll, d’incontro, servizi di ristorazione e così via… Qualcuno pensa invece che tale polo attrattivo avrebbe un effetto congestionante e tradirebbe la vocazione naturale di quell’angolo di città che oggi è frequentato con garbo da chi ne apprezza i tratti selvaggi e vuole semplicemente stare nel verde. In effetti ci sono altre zone nella parte nord della città dove aree attrezzate potrebbero avere un effetto inclusivo di cui il Meisino non ha proprio bisogno. È vero che c’è chi si entusiasma per le cascate artificiali, per le serre di piante tropicali, peri giardini verticali e per gli sport d’acqua dei parchi di Singapore, ma c’è anche chi è appagato dai silenzi e dai rumori del bosco, dalle rive senz’argini. Forse è meglio sviluppare progetti innovativi dove vi è un territorio da rigenerare, un bell’esempio è Parco Dora, piuttosto che “recuperare” una zona che ha solo la necessità di essere preservata.

Fulvio Gianaria

Fonte: www.larepubblica.it