Borgata Rosa – Storia

Storia di Borgata Rosa

Le notizie e le immagini sono tratte dal libro “Borgata Rosa – Frammenti di storia e vita vissuta in borgata” del Sig. Giovanni Roggero. Chi è interessato ad approfondire l’argomento, può contattare direttamente il Sig. Roggero al seguente indirizzo: giorogg@yahoo.it

Origine del nome Borgata Rosa

Agli inizi dell’Ottocento, sul lato destro di Corso Casale, la famiglia Rosa aveva impiantato una fornace per la fabbricazione dei mattoni, dal quale si presume che derivi il nome dato alla borgata.
Viene, infatti, citato in zona un gruppo di case denominato tetti Rosa.

Ville e casali

Muschie

Diviso dal comune di San Mauro dal torrente Costaparisio vi è la più vecchia costruzione della borgata: “il Muschie”, Castrum Musclarum, citato su un diploma dell’imperatore Enrico III nel 1043 e segnato su una carta francese dell’inizio del 1700.
Nel 1857 divenne proprietaria la baronessa Olimpia Savio che, a ricordo dei due figli morti in battaglia durante le guerre di Risorgimento, fece costruire la cappelletta che si trova sulla strada tra Villa Millerose e la tenuta “Il Saccarello”.

Nella tenuta del Muschie la villa Millerose era la dimora estiva della baronessa ed era così chiamata per la grande varietà di fiori.
In una posizione più alta, lungo la strada interna che unisce il corso Casale alla strada di Superga, vi è il Saccarello, un bel palazzotto d’epoca che gode di un ampio panorama sulla pianura torinese; tale costruzione per un certo periodo fu di proprietà di Don Bosco.

Nelle vicinanze del Saccarello vi è una grande e caratteristica costruzione cilindrica, simile ad una torre: è un enorme pozzo per l’acqua costruito all’inizio del 1700.
Durante il primo periodo bellico la villa fu sede di un comando tedesco e nel 1956 tutta la tenuta passò alla società Burgo che ne fece una piantagione sperimentale per alberi destinati alla produzione della cellulosa e purtroppo, per la costruzione degli uffici, abbatterono la vecchia villa; infine negli anni ’70, tale complesso passò all’Ente Regionale I.P.L.A.

Villa Scala

Sul lato destro di corso Casale, a fianco del pilone votivo, si diparte un lungo viale alberato al fondo del quale vi è il cancello d’ingresso di Villa Scala.
Le prime notizie relative alla proprietà risalgono al periodo successivo all’armistizio di Cherasco siglato fra Vittorio Amedeo III ed il Bonaparte. I Giacobini francesi a titolo di ringraziamento offrono privilegi ai Giacobini italiani che hanno favorito l’annessione del Piemonte alla Francia e la proprietà viene ceduta ad alcuni “Cavalieri” piemontesi che si sono mostrati leali alla Repubblica. In seguito la proprietà passa ad un membro di una meritevole fascia economica emergente in Piemonte: la comunità ebraica di Torino, che ama acquistare ville (vigne) sulla collina torinese. Nel nostro caso la famiglia si chiama Segre, da cui il nome della villa stessa.
Successivamente viene venduta ad un proprietario di una serie di sale cinematografiche in Torino che lascia il segno del suo passaggio dando un taglio Liberty ad una delle due costruzioni di cui si compone la proprietà e costruendo inoltre il lunghissimo scalone di accesso: da cui il nome di “villa la Scala”.
In seguito la proprietà passa ad un ordine religioso: le Figlie di S. Giuseppe, cui è dato mandato istituzionale di preparare le Sacre Ostie e di imbottigliare il vino per la Santa Messa per tutto il Piemonte. Le stesse costruiranno una cappella che sarà preferita da molte famiglie di Borgata Rosa in occasione della Santa Messa domenicale.
L’attuale proprietà ha proceduto ad una sistematica ristrutturazione.

Trun

Guardando la collina di Superga, a metà costa su un bel poggio, si erge come sentinella del borgo sottostante, un bel palazzotto con annessa casa rurale: è il Trun.
Oltrepassato il cancello di Villa Scala, la strada prosegue a sinistra per raggiungere gli ingressi secondari di altre proprietà e termina infine di fronte al cancello del Trun.
Fu costruito da un nobile spagnolo durante una delle tante occupazioni militari in Piemonte alla fine del 1700.
Per costruirlo si dovette spianare una parte considerevole di collina con i mezzi rudimentali di allora: badili e carriole.
Negli anni ’40 fu di proprietà della famiglia Civalleri, dirigente della squadra di calcio del Torino, perito nella sciagura aerea di Superga nel maggio ’49. In quegli anni, durante il massimo fulgore della squadra, il Trun fu meta di molti ritiri dei giocatori del Grande Torino.

Cascina “La Filanda”

Nella seconda parte del secolo XVI quasi tutto il territorio di Borgata Rosa, tra il corso Casale e la sponda destra del Po, apparteneva ad una delle quattro più potenti famiglie torinesi, quella dei Beccuti. Aleramo, ultimo di tale stirpe, aveva contribuito in maniera determinante alla venuta in Torino dei Gesuiti e nel 1574 li istituì eredi universali: i Gesuiti divennero proprietari del castello e possedimenti di Lucento, del bosco del Meisino e delle vicine isolette del Po, della pescagione del fiume tra Stura e Dora, di parte del pedaggio fluviale.  Il Meisino rimase in mano loro sino alla soppressione dell’Ordine (1773) e per molti anni la zona fu chiamata “il Gesuita”.

Nel 1776 l’acquistò Andrea Bracco, banchiere. Come molti altri banchieri, egli fu anche imprenditore serico e sviluppò un’attività mista agricolo-manufatturiera: oltre alla cascina, in cui vi era un allevamento di bachi da seta, anche delle filande.
Sui terreni che formavano la sua proprietà, è cresciuta la borgata Rosa ed ora, dell’antica filanda, della cappella e del rustico, rimane un rudere irriconoscibile.
Durante la guerra del ’15-’18 fu trasformata in caserma ed in seguito diventò ricovero degli sfollati veneti che avevano dovuto abbandonare le loro case dopo la rovinosa ritirata di Caporetto. Venne poi trasformata in civile abitazione ed i suoi ampi locali a piano terra e la cappella furono adibiti a depositi o laboratori artigianali.
La vecchia cascina, che nell’ultimo periodo era chiamata “Cascina Bordese” dal nome degli ultimi conduttori, pian piano subì un progressivo degrado, dopo un periodo di completo abbandono la città di Torino destinò questa struttura a “Casa sociale”. Dopo il crollo di una parte della facciata avvenuto nel 2011 e l’abbattimento di una parte ormai pericolante nel  2012, nel maggio del 2014 veniva demolito definitivamente quello che rimaneva della vecchia costruzione per dare inizio alla realizzazione del nuovo edificio che accoglierà dal 2017 la “Casa sociale”.

Al Batel

Arrivando da S. Mauro e costeggiando il Po, le prime case che apparivano allo sguardo dei viandanti erano due grosse costruzioni che si fronteggiavano e creavano un passaggio obbligato, quasi come una porta d’ingresso alla città.
Questo passaggio durante il periodo bellico del ’43-’45 era stato fortificato per il controllo del movimento passeggeri ed a guardia era stato messo un plotone di giovani militari della Guardia Nazionale Repubblicana aderenti alla repubblica di Salò.
Alla sinistra del viaggiatore vi era la lunga costruzione detta “la fabbrica” e di fronte vi era la grande ed insolita costruzione “al batel”.

Questa struttura ha un grande terrazzo sul davanti simile ad una prua e numerosi oblò per finestre.
Nel passato è stata utilizzata come caserma; ciò è comprovato dal ritrovamento di scritture tipiche militari sulle travature e sulle porte, mentre nei locali del seminterrato sono evidenti le strutture ad uso stallaggio. Pare che questa costruzione fosse stata fatta come supporto logistico e deposito di materiale alla costruzione della Basilica di Superga nei primi anni del ‘700.

Villa Pellizzero

Sul lato destro di corso Casale al numero civico 396, circondato da un curato e bel giardino, spicca un signorile palazzotto di foggia ottocentesca con ampi saloni ricchi di pregevoli stucchi. La villa fu fatta costruire ad inizio secolo dai fratelli Pellizzero, persone di elevata formazione culturale. Alla morte dell’ultimo dei fratelli, con un lascito, è stata donata alla regione perchè fosse usata a scopo benefico o sociale.
Dopo anni di abbandono, ad inizio ’90, la villa è stata ristrutturata e data in uso ad una comunità dedita al recupero dei giovani in difficoltà.

Vie di comunicazione: Corso Casale … la strada precollinare

La via precollinare che fiancheggia il lato destro del Po ha sempre avuto una notevole importanza per la città di Torino.
Questa antica strada romana iniziava dalla porta “pretoria”, varcava il Po su un ponte di legno (piazza Gran Madre) costeggiava il fiume, raggiungeva San Mauro, Gassino, Industria (Monteu da Po) ed infine arrivava a Vardacate (Casale) ed a Forum Valentinum (Valenza).
L’importanza di questa strada è avvalorata da una lapide (ora scomparsa) messa sul muraglione di sostentamento della strada verso San Mauro in località chiamata “Punt Lung”. La parte del muraglione, ancora visibile, tempo addietro era lambito dalle acque del Po ed era il ritrovo di molti pescatori; ai piedi di questo muro, era attiva una piccola sorgente d’acqua che scendeva dal colle di Superga.
Dai documenti e dal muro fatto per sostenere la strada di S. Mauro risulta scritto “Strada militare di S. Mauro”. Segue una lunga scritta in latino così tradotta: “Sotto gli auspizi di Vittorio Amedeo Re della città di Torino sommosso il colle represso il fiume stabili ponti al varco dei torrenti costrutti nuova pubblica via assodata di ghiaia munita di fosse per opera dei Decurioni al commercio ed al Commodo aperse l’anno MDCCLXXXIX.”

I traghetti

Per secoli, l’unico ingresso alla città dalla parte collinare era il ponte in legno della porta del Po, in piazza Gran Madre, ricostruito in pietra nel periodo napoleonico; solamente nel 1879 fu costruito il ponte di corso Regina.
Per sopperire alla mancanza di vie di comunicazione con l’altra sponda del Po, gli abitanti della collina potevano usufruire di tre traghetti fluviali; uno alla Madonna del Pilone, uno a Sassi vicino all’attuale ponte di corso Belgio costruito nel 1928, un terzo a Borgata Rosa nella zona del poligono militare di fronte a piazza Sofia; quest’ultimo era comunemente chiamato il “traghetto delle tabachine” perchè usato soprattutto per raggiungere la manifattura tabacchi in zona Regio Parco.
Il traghetto era un grosso barcone con alte sponde e con due panche ai lati per fare sedere i passeggeri. Il barcaiolo con una lunga pertica, facendo leva sul fondo del fiume, spingeva con forza di braccia la barca per raggiungere la sponda opposta.
Per rendere più sicura la navigazione durante i periodi di piena si ancorava un grosso cavo tra le due rive e con una carrucola manuale il barcaiolo poteva attenuare la sua fatica e mantenere la rotta con più facilità; sovente l’ancoraggio del cavo era fatto su grossi alberi appositamente affittati.

La gabella

Nell’attuale grande svincolo prospiciente il campo sportivo di Sassi, chiamato piazza Coriolano, dagli anni ’30 sino all’apertura del traffico del ponte diga vi era una caratteristica costruzione in legno con ampia tettoia sul davanti che copriva la grossa pedana in ferro usata come peso pubblico; tale costruzione era il casello daziario e la località era chiamata “curva del dassi”.
Agenti daziari controllavano giorno e notte il movimento merci ed erano preposti alla riscossione dell’imposta sui consumi delle merci che entravano in città. Questa imposizione fiscale era già in uso nel medio evo con il nome di “gabella”; tale imposta fu soppressa poi con l’introduzione dell’IVA negli anni ’70.
Ad inizio secolo il casello daziario era situato in piazza Borromini ed è per questo motivo che i più vecchi abitanti della precollina usano chiamare la zona attorno alla piazza “Barriera di Casale”.

Vecchi mestieri

Escluse le due grandi proprietà, quella del Muschie e quella della filanda Bracco, non vi erano grandi tenute agricole per cui il ricavato dei campi per i pochi agricoltori dell’epoca, era di scarsa consistenza; molti erano i fornaciai della vicina fornace, altri facevano il duro lavoro dei “sabiunè”, che con pale e badili caricavano la sabbia sui “tombarel” lungo le sponde del Po e poi, con passo lento e cadenzato, portavano il materiale estratto nei cantieri cittadini.

All’inizio del secolo, l’unica attività che occupava maestranze era l’opificio militare Bonicatti.